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264 | iv - selve d’amore |
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Cosí fatta la legge e il giuramento,
e consentita dal divin senato,
poco passò che ne fu mal contento
e invan pentissi allor aver giurato;
provando in sé questo mortal tormento,
prima era Amor sicur, lieto e beato;
e, se non fussi la giá data fede,
l’avria rimessa alla tartarea sede.
45
Di Caos nata e da Pluton nutrita
del latte delle Furie (o tristo nume!),
fa sentire a’ mortali ancor in vita
le pene del gran regno sanza lume.
Non sana omai la sua immortal ferita.
Porta una spada tinta delle schiume
di Cerbero lá giú nel basso seggio;
del ben fa mal, e sempre crede il peggio.
46
D’ombre vane e pensier tristi si pasce:
rode un cor sempre l’infelice bocca;
e come è consumato, allor rinasce:
o miser quel a cui tal sorte tocca!
Nelle sue prime cune e nelle fasce,
nel petto tristo invidia, odio trabocca.
Fugge sempre ove il mio bel Sole arriva,
né si parte però la morte viva.
47
Oh quante volte tentato ha il mio Sole
cacciar da sé questo terribil mostro
or con minacce, or con buone parole!
L’Amor, la Fé: — Questo è il nimico nostro —
dicon piangendo, e invan ciascun si duole.
Invan si oppone il basso voler nostro
al decreto ch’è in ciel giá fermo e santo.
Lei fugge d’uno, e va in un altro canto.