Pagina:Lorenzo de' Medici - Opere, vol.1, Laterza, 1913.djvu/250

244 iv - selve d’amore

4

     ma, se leva del sol la luce a noi,
piovendo un nimbo tempestoso e spesso,
a poco a poco il vedi gonfiar poi,
tanto ch’alfin non cape piú in se stesso,
e le fatiche de’ giá stanchi buoi
e selve trarre e pinger sassi in esso;
l’erbosa ripa in mezzo e ’l curvo ponte
resta, e torbido lago è il chiaro fonte.

5

     Allor ch’un venticel suave spira
con dolce legge, i fiori a terra piega,
e scherzando con essi intorno gira,
talor gli annoda, or scioglie, or gli rilega;
le biade impregna; ondeggia alta e s’adira
l’erba vicina alla futura sega;
suave suon la giovinetta frasca
rende, né pur un fior a terra casca.

6

     Ma, se dá libertá dalla spelonca
Eolo a’ venti tempestosi e féri,
non solamente i verdi rami tronca,
ma vanno a terra i vecchi pini interi:
i miser legni con la prora adonca
minaccia il mare irato, e par disperi:
l’aria di folte nebbie prende un velo;
cosí si duol la terra, il mare e ’l cielo.

7

     Poca favilla, dalla pietra scossa,
nutrita in foglie e in picciol rami secchi,
scalda; e, dal vento rapido percossa,
arde gli sterpi pria, virgulti e stecchi;
poi vicina alla selva folta e grossa
le querce incende e i roveri alti e vecchi:
cruda inimica al bosco l’ira adempie:
fumo e faville e stran stridor l’aria empie.