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18 | ii - comento sopra alcuni de’ suoi sonetti |
il mio dolcissimo e constantissimo amore ha dato a queste, è impossibile che altri che io lo possi intendere. Perché, quando bene l’avessi ad alcuno narrate, cosí era impossibile a lui lo intenderle, come a me riferirne il vero. E però torno al sopradetto verso del nostro fiorentino poeta, che dove sia chi per pruova intenda amore (cosí questo amore che io ho tanto laudato come qualche particolare amore e caritá verso di me);
spero trovar pietá non che perdono.
Resta adunque solamente rispondere alla obiezione che potessi essere fatta, avendo scritto in lingua vulgare, secondo il giudicio di qualcuno, non capace o degna di alcuna eccellente materia e subietto.
Ed a questa parte si risponde: alcuna cosa non essere manco degna per essere piú comune; anzi si pruova ogni bene essere tanto migliore quanto è piú comunicabile ed universale, come è di natura sua quello che si chiama «Sommo Bene»; perché non sarebbe sommo se non fussi infinito, né alcuna cosa si può chiamare «infinita», se non quella che è comune a tutte le cose.
E però non pare che l’essere comune a tutta Italia la nostra materna lingua li tolga dignitá, ma è da pensare in fatto la perfezione o imperfezione di detta lingua. E, considerando quali sieno quelle condizioni che dánno dignitá e perfezione a qualunque idioma o lingua, a me pare siano quattro; delle quali una o al piú due sieno proprie e vere laudi della lingua, l’altre piú tosto dipendino o dalla consuetudine ed oppinione degli uomini o dalla fortuna. Quella che è vera laude della lingua è l’essere copiosa e abondante ed atta ad esprimere bene il senso e il concetto della mente. E però si giudica la lingua greca piú perfetta che la latina e la latina piú che l’ebrea, perché l’una piú che l’altra meglio esprime la mente di chi ha o detto o scritto alcuna cosa. L’altra condizione che piú degnifica la lingua è la dolcezza ed armonia che risulta piú d’una che di un’altra; e, benché l’armonia sia cosa naturale e proporzionata con l’armonia dell’anima e del corpo nostro, nondimeno a me pare, per la varietá degl’ingegni umani, che tutti, se non sono bene proporzionati e perfetti,