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228 | iii - rime |
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[Poca gloria ha Amore, se ha acceso l’ésca di tanto foco.]
Non t’è onore, Amor, l’avermi preso
ed ingannato ne’ miei teneri anni,
quando l’etá disposta era agl’inganni,
e poca gloria è, se hai l’ésca acceso.
E, s’io m’arresi, a torto m’hai offeso,
. . . . . . . . . . .
contra dure arme e non venerei panni,
riserba le saette e l’arco teso:
ché resultar ne suol piú gloria al vinto,
se è debole, e potente è il vincitore:
cosí manca tua gloria a poco a poco.
Giá di divin prigion ti vidi cinto;
il cielo e’ lFonte/commento: Edimburgo, 1912 mondo tenevi in tremore,
e la Stige palude: ora ardi il foco.
canzone vii
[Il core, vinto dagli occhi della sua donna, attende morte o guiderdone alle sue pene.]
Quando raggio di sole,
per picciola fessura
dell’ape entrando nella casa oscura,
al dolce tempo le riscalda e desta,
escono accese di novella cura5
per la vaga foresta,
predando disiose or quella or questa
spezie di fior, di che la terra è adorna:
qual esce fuor, qual torna
carca di bella ed odorata preda;10
qual sollecita e strigne,
s’avvien che alcuna oziosa all’opra veda;
altra il vil fuco spigne,