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iii - rime | 213 |
lxxv
[«Levommi il mio pensiero...».]
Per lunga, erta, aspra via, nell’ombre involto,
scorgendo Amor lo mio cieco pensiero,
mossi i piè per incognito sentiero,
avendo il disio giá verso il ciel vòlto.
Per mille errori alfin con sudor molto
all’orizzonte del nostro emispero
pervenni, indi in eccelso e piú altero
loco, di terra giá levato e tolto.
Della gran scala al terzo grado giunto,
consegnommi alla madre il caro figlio,
se ben confuso allor mostrossi a noi.
Quindi in piú luminosa parte assunto
potei mirare il sol con mortal ciglio,
né mai cosa mortal mi piacque poi.
lxxvi
[Il miracolo delle viole.]
Le frondi giovinette, li arbuscelli
sogliono al tempo nuovo rivestire,
e Flora il suo bel seno a Febo aprire,
e produr voi con gli altri fior novelli.
Or la stagion matura ha fatto quelli
in semi o in dolci pomi convertire:
qual maraviglia or voi soli apparire
face, amorosi fior, sí freschi e belli?
Questa sol credo, o mammole viole,
che da Natura destinate sète
per riscaldarvi a’ raggi del mio Sole.
Cessi ogni maraviglia, se verrete
in quella man, s’ella accettar vi vuole:
sí nuovo e bel miracolo vedrete.