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170 | iii - rime |
xxix
[Il solo aspetto del volto sereno della sua donna volge in dolcezza le antiche pene.]
O fortunata casa ch’eri avvezza
sentir i grevi miei sospiri e pianti,
serba l’effigie in te de’ lumi santi,
e l’altre cose come vili sprezza.
O acque, o fonti chiar’, pien’ di dolcezza,
che col mormorio vostro poco avanti
meco piangevi, or si rivolga in canti
la vostra insieme con la mia asprezza.
O letto, delle mie lacrime antiche
ver testimonio, e de’ miei sospir pieno,
o studiolo al mio dolor refugio;
vòlto ha in dolcezza Amor nostre fatiche
sol per l’aspetto del volto sereno,
ed io non so, perché a morir piú indugio.
xxx
[Perché l’anima trema e paventa quando si appressa il tempo di conseguir mercede?]
Quando l’ora aspettata s’avvicina
per dare il guidardone alla mia fede,
quando s’appressa il conseguir merzede,
triema e paventa piú l’alma meschina.
E, quasi a sé medesma peregrina,
smarrita resta, e forse ancor nol crede,
spesso ingannata, e, se ben chiaro il vede,
di pensier sempre incerta, ov’ella inclina.
E questo avvien ché si riputa indegna
di tanto bene, onde pallida triema,
sé comparando a quel viso sereno.
O forse, come Amor li mostra e insegna,
dubbiosa sta, perché pur brami e téma
per soverchia dolcezza venir meno.