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Assai sono stato dubbioso e sospeso se dovevo fare la presente interpetrazione e comento de’ miei sonetti; e, se pur qualche volta ero inclinato a farlo, le infrascritte ragioni mi occorrevano in contrario e mi toglievano da questa opera. Prima la presunzione nella quale mi pareva incorrere comentando io le cose proprie, cosí per la troppa estimazione che mostravo fare di me medesimo, come perché mi pareva assumere in me quel giudicio che debbe essere d’altri, notando in questa parte l’ingegni di coloro alle mani de’ quali perverranno i miei versi, come poco sufficienti a poterli intendere. Pensavo oltr’a questo poter esser da qualcuno facilmente ripreso di poco giudicio, avendo consumato il tempo nel comporre e comentar versi, la materia e subietto de’ quali in gran parte fussi una amorosa passione; e questo essere piú riprensibile in me per le continue occupazioni e publiche e private, le quali mi dovevano ritrarre da simili pensieri, secondo alcuni non solamente frivoli e di poco momento, ma ancora perniciosi e di qualche pregiudicio cosí all’anima nostra come all’onore del mondo. E, se questo è, il pensare a simili cose è grande errore, il metterle in versi è molto maggiore, ma il comentarle non pare minor difetto che sia quello di colui che ha fatto un lungo e indurito abito nelle male opere, massime perché i comenti sono riservati per cose teologiche o di filosofia, e importanti grandi effetti, o a edificazione e consolazione della mente nostra o ad utilitá dell’umana generazione. Aggiugnesi ancora questo, che forse a qualcuno parrá riprensibile, quando bene la materia