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iii - rime | 147 |
iv
Sonetto fatto per una donna che era ita in villa.
Felici ville, campi, e voi, silvestri
boschi e fruttiferi arbori e gl’incolti,
erbette, arbusti, e voi, dumi aspri e folti,
e voi, ridenti prati al mio amor destri;
piagge, colli, alti monti ombrosi, alpestri,
e fiumi ove i be’ fonti son raccolti,
voi, animal domestici, e voi, sciolti
ninfe, satiri, fauni e dii terrestri;
omai finite d’onorar Diana,
perch’altra dea ne’ vostri regni è giunta,
ch’ancor ella ha suo arco e sua faretra.
Piglia le fère ove non regna Pana:
e quella ch’una volta è da lei punta,
come Medusa, la converte in pietra.
v
[Privo della vista della sua donna, ha perduto ogni bene.]
Occhi, poi che privati in sempiterno
siate veder quel Sol che alluminava
vostro oscuro cammino, e confortava
la vista vostra, or piangete in eterno.
La lieta primavera in crudo verno
or s’è rivolta, e ’l tempo ch’io aspettava
esser felice piú, e disiava,
m’è piú molesto: or quel ch’è Amor, discerno.
E se dolce mi parve il primo strale,
e se soave la prima percossa,
e se in prima milizia ebbi assai bene,
ogni allegrezza or s’è rivolta in male,
e per piacevol via in cieca fossa
caduto sono, ove arder mi conviene.