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ii - comento sopra alcuni de’ suoi sonetti | 141 |
si faceva pietoso di lei, e, costretto da questa compassione, nelli occhi suoi piangeva. Ed avendo detto che la sede d’Amore e il vero suo luogo era ne’ suoi bellissimi occhi, di necessitá in quelli occhi piangeva. E di questo pianto, e perché da loro medesimi vinti dal dolore bassi si stavano, alquanto si rimetteva lo splendore loro: non che li occhi per questa oscurazione ne diventassino manco belli, ma splendevano alli altrui occhi come suole il sole, interponendosi qualche nube; dico secondo pare alli occhi nostri, non che il sole perda parte alcuna della sua luce. E, perché pareva cosa maravigliosa e quasi incredibile quanto è detto, bisognava fare autore di questo chi fussi suto presente, come era suto uno de’ mia pensieri, il quale, essendovi tutti li miei pensieri, di necessitá vi era ancor lui; perché, come dicemo in principio, questo rimedio venne dai pensieri amorosi; e, per confermazione di questa veritá, ne portò seco fede della compagnia sua, cioè delli altri pensieri d’Amore, della fede e della speranza, veramente dolce e bella compagnia. Perché altro bene non ha la vita umana né maggior dolcezza; e, se amore e fede erano veramente nella mia donna, di necessitá vi era la compassione dell’assenzia mia, ed il pensiero con questi testimoni doveva esser creduto. Questo fido nunzio con queste novelle da un canto mi empiè il core di dolcezza, pensando che non solo non era sola la mia donna, ma da sí bella compagnia accompagnata. D’altra parte, sentendo pure che la donna mia si doleva e piangeva, mi accese il core di grandissima pietá, tanto che veramente per quella dolcezza e per la pietá sarei morto, se la speranza non mi avessi soccorso di veder presto li occhi suoi, i quali sempre vedeva il mio core; e, perché li occhi del core sono i pensieri, si verifica che i pensieri sempre erano con la donna mia . . . . . . . . . . . . . . . .