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ii - comento sopra alcuni de’ suoi sonetti |
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verse passione generava in me la privazione dello aspetto suo, entrai in pensieri che quelle medesime cose dovessino similmente assai offender lei; e però al dolore, che del mio proprio male sentivo, si aggiunse ancora questo, presentandosi al cor mio la pietá ed il dolor suo per esser sola e senza me. E, perché la natura, e ogni buon medico, della natura imitatore, prima pone remedio a quello che principalmente e piú offende la vita, li miei amorosi pensieri, sola medicina di questo dolcissimo male, prima pensavono il remedio che piú mi offendeva, cioè la pietá della solitudine della donna mia, mostrando in effetto che sola non era, ancora che fussi di lungi dalli occhi miei dolenti e lacrimosi, perché in compagnia sua era amore, speranza e fede, ed insieme tutti i miei pensieri. Non era adunque sola, ancora che in sua compagnia non fussi alcuna persona, e fussi destituita della conversazione delli altri, come testifica la sentenzia di Catone, dicendo «mai esser men solo che quando era solo», e chiamandosi ancora da Ieremia la cittá di Ierusalem «sola», ancora che fussi piena di popolo, perché la vera solitudine è esser destituto da quelle cose che piacciono. E dicesi uno esser solo in mezzo di molti inimici, perché mancando il vero fine per che è ordinata una cosa, di necessitá quella cosa non è piú quella, come, per esemplo, chiamiamo un uomo e «razionale», perché è ordinato a fine della ragione, dal quale quando lui manca, non si può piú chiamare uomo. La societá e compagnia delli uomini l’un con l’altro dalla natura è ordinata, accioché tutte le comoditá necessarie alla vita umana, che non si possono trovare in un solo, si abbiano da molti. E, se questo è il fine della compagnia, ogni volta che fussi grandissimo numero per offendere uno, quella non si può chiamar «compagnia», anzi «inimicizia». Se adunque alla donna mia la conversazione delli uomini era molesta, e solo li piaceva amore, speranza, fede e li miei pensieri, senza questi tra molti era in estrema solitudine, e con essi, quando fussi suta ne’ deserti della arenosa Libia, si poteva chiamare «accompagnata». E che non fussi sola, si dimostra ancora, parlando lei e dolendosi con questa compagnia. Dolevasi adunque sí dolcemente, che Amore maravigliosamente