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ii - comento sopra alcuni de’ suoi sonetti 139

considerare tanta bellezza, e veramente inimici, essendo cagione di multiplicare piú il desiderio, cioè la passione. Credevomi adunque non solamente quella bellezza presente, ma ancora la speranza di molto piú dolce morte, la quale dalli inimici giá detti, per mezzo di queste amorose offese, con grandissimo desiderio aspettavo. Perché quanto maggiore erono le offese, cioè il desiderio di tanta bellezza, piú dolce si faceva la morte. E però la speranza di questa morte mi empieva il core di tanta dolcezza, che il core giá se ne nutriva e viveva: intendendo questa morte nella forma che abbiamo detto morire li amanti, quando tutti nella cosa amata si trasformono, che non importa altro che lo adempiere il desiderio, che si adempie quando l’amante nello amato si trasforma. E però questa morte non solamente è dolce, ma è quella dolcezza che puote avere l’umana concupiscenzia. E per questo da me, come unico remedio alla salute mia, era con grandissima dolcezza e desiderio aspettata, come vero fine di tutti li miei desidèri.

     Non è soletta la mia donna bella
lunge dagli occhi miei dolenti e lassi:
Amor, fede, speranza sempre stassi,
e tutti i miei pensieri ancor con ella.
     Con questi duolsi sí dolce e favella,
ch’Amor pietoso oltre a misura fassi,
e in que’ belli occhi, che ’l dolor tien bassi,
piange, oscurando l’una e l’altra stella.
     Questo ridice un mio fido pensiero,
e, s’io non lo credessi, porta fede
della sua dolce e bella compagnia.
     E, se non pur che ad ora ad ora spero
gli occhi veder, che sempre il mio cor vede,
per la dolcezza e per pietá morria.

Come molte altre volte accadde, secondo abbiamo detto, ero assai dilungato dalli occhi della donna mia nel tempo che composi il presente sonetto. E tra molti duri pensieri che facevano molestissima questa assenzia, uno maravigliosamente offendeva il cor mio. E questo è che, considerando quante di-