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132 | ii - comento sopra alcuni de’ suoi sonetti |
Vengo con passi lenti a mirar quelle, |
Grandissima miseria è quella d’alcuno, il quale si affligge per desiderio d’una cosa, la quale poi, quando è di conseguirla in grandissima speranza, non manca però della sua prima miseria, dubitando, conseguendola, ancora restare misero. E, perché spesse volte avviene negli accidenti amorosi, si può Chiamare la vita degli amanti sopra tutte l’altre misera, poiché, ed avendo e non avendo quello che vuole, non muta mai la sua infelice sorte, ancora che si mutino le cagioni della miseria. Questo effetto esprime il presente sonetto, perché, essendo stato, come abbiamo detto di sopra, per qualche tempo distante dalla donna mia con molta afflizione, ed essendo gia in cammino per tornare al suo tanto desiderato aspetto, e vicino alla visione de’ suoi begli occhi, come se fussi quasi presente, a loro dirizza le parole, mostrando ch’io torno a rivedere la dolcezza del loro lume e la loro infinita bellezza, dalla quale ogni cuor gentile ha da riconoscere la vita, come le stelle del Cielo riconoscono la cagione del lume loro dallo splendore del sole. Ed a provar questa veritá che la vita delli gentili cuori proceda da questa infinita bellezza, bisogna presupporre la bellezza essere sanza fine, e però sarebbe non solo la maggiore bellezza, ma quanta bellezza può essere, perché ogni cosa infinita è tale; ed essendo una medesima cosa somma bellezza e somma bontá e somma veritá, secondo Platone, nella vera bellezza di necessitá è la bontá e veritá in modo annesse, che l’una con l’altra si converte. E intendendosi per li cuori gentili gli animi elevati, secondo che abbiamo detto, e perfetti, bisogna sia vero che ogni gentil cuore