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ii - comento sopra alcuni de’ suoi sonetti |
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si dice essere immortale, perché le due prime si vede che mancono e muoiono. Adunque chi si innamora di queste tre potenzie ne trasforma dua nella cosa amata, cioè la sensitiva e la razionale, perché tutte le forze dello intelletto nostro, e quello che per mezzo de’ sensi si conosce, si dá in potestá della cosa amata, ed ella al suo modo ne dispone e governa. E cosí segue necessariamente, perché, sottomettendosi la libertá dello arbitrio volontariamente, che è principio in noi d’ogni operazione, bisogna tutte le operazioni seguino il principio sanza il quale non si farebbono. Resta adunque solamente in chi ama quella parte della vita, per la quale solamente viviamo, come abbiamo detto, a guisa delle piante. E cosí si verifica il partire della vita e del cuore, cioè della razionale e sensitiva potenzia, sanza che manchi la vita, restando la potenzia vegetativa nello amante.
Lasso, io non veggo piú quelli occhi santi,
de’ miei dolenti pace e vero obietto;
e, perché quel, ch’io veggo altro, ho in dispetto,
Amor pietoso i miei cuopre di pianti.
Le lacrime che cascon giú davanti
destano il cor di fuor bagnando il petto,
il cor domanda Amor, qual duro effetto
fa cosí gli occhi madidi e roranti.
Amor gliel dice; allor pietá gli viene
degli occhi, e manda all’umida mia faccia
sospirando una nebbia di martíri.
O dolcissimo Sole, o sol mio bene,
móstrati alquanto e questa nebbia caccia:
non han piú gli occhi pianti o il cor sospiri.
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Non pare conveniente dire molte cose nella esposizione del presente sonetto, essendo molto simile d’argumento alli dua precedenti, né volendo denotare altro che la miseria dello stato amoroso, quando accade la privazione per assenzia della cosa amata. E, perché per tre vie si sfogono comunemente le passioni amorose, quando procedono da assenzia, cioè lacrime, sospiri e pensieri, con qualche indulgenzia credo si replichi molte volte queste medesime cose, ancora che in diversi modi; perché,
Lorenzo il Magnifico, Opere - i. |
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