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i - epistola a federico d’aragona 7

da tre suoi contemporanei, prestantissimi filosofi, fra li quali era il romano Egidio, fu dottissimamente commentata. Né si deve il lucchese Bonagiunta e il notaro da Lentino con silenzio trapassare: l’uno e l’altro grave e sentenzioso, ma in modo d’ogni fiore di leggiadria spogliati, che contenti doverebbono stare se fra questa bella masnada di sí onorati uomini li riceviamo. E costoro e Piero delle Vigne nella etá di Guittone furono celebrati, il quale ancora esso, non senza gravitá e dottrina, alcune, avvenga che piccole, opere compose: costui è quello che, come Dante dice:

                           tenne ambe le chiavi
del cor di Federigo, e che le volse,
serrando e disserrando sí soavi.

Risplendono dopo costoro quelli dui mirabili soli, che questa lingua hanno illuminata: Dante, e non molto drieto ad esso Francesco Petrarca, delle laude de’ quali, sí come di Cartagine dice Sallustio, meglio giudico essere tacere che poco dirne.

Il bolognese Onesto e li siciliani, che giá i primi furono, come di questi dui sono piú antichi, cosí della loro lima piú averebbono bisogno, avvenga che né ingegno né volontá ad alcuno di loro si vede essere mancato. Assai bene alla sua nominanza risponde Cino da Pistoia, tutto delicato e veramente amoroso, il quale primo, al mio parere, cominciò l’antico rozzore in tutto a schifare, dal quale né il divino Dante, per altro mirabilissimo, s’è potuto da ogni parte schermire. Segue costoro di poi piú lunga gregge di novelli scrittori, i quali tutti di lungo intervallo si sono da quella bella coppia allontanati.

Questi tutti, signore, e con essi alcuni della etá nostra, vengono a renderti immortal grazia, che della loro vita, della loro immortal luce e forma sie stato autore, molto di maggior gloria degno che quello antico ateniese di chi avanti è fatta menzione.

Perocché lui ad uno, benché sovrano, tu a tutti questi hai renduto la vita. Abbiamo ancora nello estremo del libro (perché cosí ne pareva ti piacessi) aggiunti alcuni delli nostri sonetti e canzone, acciò che, quelli leggendo, si rinnovelli nella