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112 ii - comento sopra alcuni de’ suoi sonetti

gentilissima mano entrò drieto agli occhi nel petto e ne trasse il cor mio, come mostra il sonetto che comincia: «Candida, bella e delicata mano», ed in luogo del mio core pose quello della donna mia; e, perché questo pare cosa mirabile ed inaudita, soggiunse Amore questa esser opera maravigliosa della potenzia sua. E, considerando veramente, Amore non è altro che una trasformazione dello amante nella cosa amata; e, quando è reciproco, di necessitá ne nasce la medesima trasformazione in quel che prima ama, che diventa poi amato, per modo che maravigliosamente vivono gli amanti l’uno nell’altro, ché altro non vuole inferire questa commutazione di cori.

     Quel cor gentil, che Amor mi diede in pegno
mirabilmente in cambio al mio, eletto
a maggior bene, or vuol lasciar soletto
il petto mio, di sí bel core indegno.
     Io priego il mio che torni: egli è sí degno,
che l’antiqua sua sede or ha in dispetto.
Io dico a lui: — Se non degna il mio petto
quel core, ará te, cor, quel petto a sdegno.
     Misero, che farai? — E lui risponde:
— Starò in esilio in quelle luci belle,
se pur cacciato son sanza riguardo.
     Queste non mi può tôr, né Amor l’asconde:
e tu arai di me spesso novelle
pe’ dolci raggi di quel bello sguardo.

Sogliono quelle cose, che per la eccellenzia e degnitá loro eccedono i meriti di chi le riceve, parere ancora poco durabili, perché ogni eccesso è di questa natura. E però si vede talora quelli temere piú, che sono da infimo grado venuti in grandi condizioni. Oltra questo, secondo il corso delle cose umane, quelli che sono in maggior felicitá constituti debbono piú che gli altri temere, essendo la felicitá umana il piú delle volte brieve e poco stabile. Queste condizioni erono in me, per quanto mostra il precedente comento, per ora essendo il mio petto fatto recettaculo del core della donna mia, ed il cor mio altero e troppo nobile essendo ito ad abitare nel candido petto di quella,