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110 | ii - comento sopra alcuni de’ suoi sonetti |
la volontá, la quale non è altro che desiderio di quel bene che all’opinione pare bene. E per questo si può dire, se bene la opinione e volontá non sono una cosa, essere tanto simili e prossime e di necessitá l’una con l’altra congiunte, che a me non sia inconveniente parlare dell’una come dell’altra, perché queste mie non sono diffinizioni, ma piú tosto parole largamente e liberamente dette.
Se adunque solo la opinione e volontá è nostra, chi dona questa tal cosa, dona tutto quello che possiede per suo, e chi dona tutto il suo, di necessitá dona una cosa che al donante è carissima, e però non può fare maggior dono. Intendesi largamente in questi versi amorosi per la opinione e volontá nostra il cuore; e però, avendo fatto la donna mia una commutazione del suo cuore al mio, cioè tolto il mio per sé e a me donato il suo, come mostra il presente sonetto, nessuno maggior dono mi poteva dare, né fare piú evidente segno che io fussi pieno della grazia sua. E perché parrebbe, la mia, grandissima arroganza, persuadendomi questo esser vero, e facendo me medesimo autore e degno di tanto bene sanza il testimonio della donna mia, mi accade dire il vero di questo amoroso processo, e per fuggire la colpa della arroganzia detta e per il contento che mi reca al cuore la dolcissima memoria di quell’atto amoroso. Ero in parte che assai vicino mi trovavo al viso della donna mia, e, riguardandola fisa, per la dolcezza che porgevano gli occhi suoi, quasi attrito ed indebilito, sostenevo col mio destro braccio la testa. Lei pensando di darmi qualche conforto, con un gentile modo appressandosi piú a me, pose la candida sua mano sopra la sinistra parte del petto mio, e, tenendola per alquanto spazio ferma, io le domandai assai timidamente quello che intendessi fare. Ella, con una onesta baldanza, rispose che stava a udire muovere il cuore suo. Ed io a lei: — Veramente e questa ed ogni altra cosa che vive in me è vostra. — Lei soggiugnendo disse: — Io dico veramente questo essere il cuore che giá viveva in me, che ora in te vive, e quello, che prima era tuo, conservo io nel mio petto. — Quello che mi paressino sí dolci parole e che effetto facessino in me, lascio questo giudicare