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ii - comento sopra alcuni de’ suoi sonetti 109

tanta bellezza e dolcezza insieme, si può dire questa bellezza essere al mondo non solamente maravigliosa, ma forse non piú veduta, e però veramente il mondo potersi chiamare cieco, e dover producere in chi la vede quello che si può chiamare vera letizia e beatitudine.

     Lasso! che sent’io piú muover nel petto?
non giá il mio cor, che s’è da me fuggito.
Questi spessi sospir, se se n’è gito,
a cui dán refrigerio, a cui diletto.
     Li alti e dolci pensier del mio concetto
chi muove adunque, se il core è smarrito?
Amor, che ’l fece al fuggir via sí ardito,
questo me l’ha con la sua bocca detto.
     Quando i belli occhi prima la via fèro,
entrò la bianca mano, e ’l cor ti tolse,
e in cambio a quello un piú gentil ne misse.
     Questo in te vive, e ’l suo, fatto piú altero,
in piú candido petto viver vòlse.
— Quest’è de’ mia miracoli — Amor disse.

Ancora che in molti e diversi modi la donna mia dessi assai evidenti argumenti dello amore e pietá sua verso di me, come giá in piú luoghi abbiamo monstro, nessuno piú efficace ne dette, né poteva mai dare, che quello il quale contiene il presente sonetto. Né io da lei potevo maggior dono ricevere, perché maggior dono non può essere che quando altri dá e quello che è suo e quello che è carissimo al donante, secondo Epitteto. Perciò nessuna cosa possiamo chiamare «nostra» al mondo se non la opinione, perché tutte l’altre cose o sono della fortuna o sono della natura. E che questo sia vero, si manifesta perché e la natura e la fortuna spesse volte contro alla voglia nostra ce ne privano. E però, sanza estendersi in molte cose, per esser tali conclusioni molto trite e provate, confesseremo esser nostra solamente l’opinione, com’è detto, la quale è sempre libera, né può da alcuna cosa essere forzata; ed, a mio giudicio, chi fa menzione dell’opinione, di necessitá presuppone