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36 Capo III

guenze di un tale atto, fortemente ne li ripresero, proibendo loro con gravi minaccie di tener con alcuno parola sull’argomento; perchè dovevano a ragione temere più assai dai Milanesi vicini di quel che sperar potessero dall’imperatore lontano (1). Contemporaneamente giungevano a Federico i reclami d’altre città, quali Pavia e Como, contro i Milanesi. Non sembrò vero al Tedesco di presentarsi agli Italiani come vindice degli oppressi contro gli oppressori, dei deboli contro i prepotenti, e convenendo a sue mire il deprimere le città più forti, die tosto incarico ad un Sicherio di portarsi a Milano onde rivendicarvi i diritti dei Lodigiani. Sicherio, benché pregato istantemente dai consoli e signori della credenza di Lodi, raccolti a consiglio, che non presentasse ai Milanesi le lettere imperiali, assennatamente prevedendo le conseguenze di un tal atto, proseguì sua via, e giunto a Milano, mostrò a quei consoli gli ordini imperiali che imponevano la riparazione dei danni arrecati ai Lodigiani. Risposero i magistrati milanesi arditamente stracciando le lettere ed aggiungendo insolenti parole, e fu pel messo gran, ventura se potè scampare alla furia popolare cavalcando nottetempo fuor della città. Molti Lodigiani appena riseppero l’avvenuto, abbandonarono spaventati la città. Alla strana novella arse di sdegno il sire germanico, e propose nell’animo suo di trarre aspra vendetta di tanto oltraggio. E mantenne, come vedremo, suo proposito in modo tremendo. Frattanto, per mezzo di Guglielmo marchese di Monferrato, i Lodigiani inviarono colla massima segretezza a Cesare una chiave d’oro in segno di assoluto omaggio. Pel momento i Milanesi, non volendo irritar d’avvantaggio l’imperatore che scendeva con grosso esercito dalle Alpi, non fecero alcun atto ostile contro Lodi, i cui militi combatterono con essi contro i Pavesi; ed anzi, giunto che fu il Barbarossa in quella città (ottobre 1154), permisero ch’essa gli prestasse il giuramento di fedeltà. In tale occasione i Tedeschi non mostraronsi meno prepotenti coi nostri che cogli abitanti di altre terre, e i Lodigiani dovettero al proprio valore se salvarono il borgo Piacentino dal sacco; che se continuarono ad aderire a Federico, lo fecero stretti dalle circostanze, desiderosi anch’essi, non meno degli altri Italiani, di liberarsi al più presto da quella peste straniera. Federico, tenuta una nuova dieta in.Roncaglia, passò a Roma a farvisi incoronare da papa Adriano (1155); pose quindi Milano al bando dell’impero, riservando a miglior tempo Y esecuzione di sue vendette (2). Partitosi appena il Barbarossa (1156), i Milanesi deliberarono l’estrema rovina della nostra città. E prima si posero ad angariarla in ogni peggior maniera, proibendo agli abitanti di prender domicilio fuori di Lodi, sotto pena d’esiglio e di alienar fondi senza licenza, sotto pena di confisca delle terre e del prezzo a profitto del comune di Milano; ed ebbero così modo di estorcere ai nostri somme non indifferenti. E quasi ciò non bastasse,, vennero gli stessi consoli milanesi ripetutamente fra noi a commettervi ogni sorta ruberie ed a pretendere esazioni insopportabili. Finalmente (gennaio 1158) richiesero da ogni Lodigiano che avesse toccato i quindici anni il giuramento di sudditanza (3). (1) Morena, ibid.; Villanova, p. 27 e seg. (2) Muratori, Antiquìt. ital. Dissert. 21. (3) Vignati, Lodi e suo territorio, p. 24 e seg.; Morena, ad an.; Giulini, op. cit. lib. 39.