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Fotografia astronomica. | 233 |
crescere le cognizioni nostre sulla costituzione fisica dei pianeti. Quello che a questo riguardo sappiamo lo si deve alla Spettroscopia e all’osservazione diretta fatta con potenti cannocchiali: per la fotografia sono troppo piccoli i diametri apparenti dei pianeti; sono troppo piccoli gli ingrandimenti dei quali i fotografi possono con vantaggio usare; sono troppo minuti per una prova fotografica i dettagli che importa studiare sulle superfici di Marte, di Giove, di Saturno, dei pianeti in generale.
Due sono i casi nei quali la fotografia ha sull’occhio umano un vantaggio innegabile: il caso in cui si tratta di rappresentare un oggetto debolmente luminoso, una pallida nebulosa del cielo ad esempio: il caso in cui si tratta di rappresentare un oggetto intensamente luminoso come il Sole, o un oggetto lucido che rapidamente si muova. Nell’un caso il fotografo riesce nell’intento suo prolungando quanto è necessario la posa; nell’altro riesce aumentando la sensibilità della lastra, e riducendo ad un istante, a una frazione di minuto secondo, la durata dell’esposizione.
Nei casi intermedii fra i due estremi considerati, nel caso di Marte ad esempio, non di rado l’occhio e l’osservazione diretta vincono ancora oggi i metodi fotografici.
Fotografie di pianeti, di Giove e di Saturno in ispecie, furono in luoghi diversi eseguite, ed esse valsero a dimostrare che nella luce dei corpi celesti lo splendore e l’azione chimica, altrimenti detta potere attinico, non si corrispondono esattamente.
Lo splendore di Giove, ad esempio, in alcune circostanze fu stimato un terzo dello splendore generale della Luna, ed il potere attinico della sua