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corpo di spedizione partì il 20 maggio. Nel mentre che la nostra cavalleria penetrava nei bosco degli Olivi; Abd-el-Kader fece vigorosamente assalire la retroguardia. Noi aspettammo il nemico a piè fermo; e, quando fu a tiro, l’attaccammo alla baionetta. Dopo una zuffa terribile, i cavalieri nemici si fermarono per attendere l’infanteria araba. Le truppe regolari tentarono di sorprenderci, la cavalleria d’Abd-el-Kader scese da cavallo e sostenne i fantaccini. A tutti questi nemici noi opponemmo per molte ore la nostra calma, e sopratutto degli spari ben diretti e sostenuti, ciò che permise alla nostra cavalleria ed alle vettovaglie di passar la gola.

Ottenni a quell’epoca il mio primo grado.

Il calore eccessivo non permettendo di continuare le operazioni della campagna, l’esercito entrò nei suoi accampamenti.

Dovetti entrare allo spedale d’Algeri. La febbre maligna, causata dalle fatiche di questa prima spedizione, mi ritenne per due mesi sul letto del dolore.

Sin qui la vita militare non m’avea neppur lasciato il tempo di pensare alle ultime raccomandazioni di mia madre. Il momento giunse, in cui, avendo riacquistato i miei sensi, dei pensieri tristi, ma consolanti, vennero a ravvivare in me la ricordanza della scena d’addio alla casa materna.

Gli ammalati, che mi stavano intorno, nutrivano sentimenti del tutto opposti ai miei; ed il loro esempio e le loro conversazioni m’affliggevano amaramente. Non ardiva comunicar loro i miei dubbi sulle conseguenze del loro stato spirituale, essendo io stesso, ahimè! non ancora abbastanza raffermato nella fede.

Dio mi mandò i soccorsi di cui avea bisogno. Ricevetti la visita d’un mio compagno. Giuseppe Marty, figlio d’un pastore protestante del dipartimento della