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sappi che questo libro è l’ultimo dono che mi fece la madre mia. - Parve commosso, e mi disse: - Te l’ho fatto restituire; d’ora innanzi nessuno te lo toccherà. Ma divieni credente, accetta ciò che ti propongo. — Non posso tradire nè il mio Salvatore, nè la mia patria. Ti dirò a mia volta: fatti cristiano, e vieni a noi: perderai forse il prestigio di cui sei circondato: ma Dio te lo renderà cento volte per uno quando ritornerai verso lui. — Sei un pazzo: vattene. — Uscii e non lo rividi più, poichè mi mandò a Tekempt, ove trovai alcune centinai di Francesi prigionieri, ed alcuni operai ch’egli aveva ottenuti col trattato della Tafna, occupati a fabbricare della polvere e delle armi. La loro miseria era estrema. Battuti costantemente, malamente nutriti, esposti durante il giorno all’ardore d’un sole cocente, ghiacciati la notte, quasi nudi, senza coperte, morivano in gran numero, ed ogni giorno se ne seppellivano parecchi. La mia sorte non fu più felice per un mese, che ivi passai. A quest’epoca ebbe luogo la spedizione dei Francesi su questa città e ci diressero verso Tlemcen.

«Io ed i miei sventurati compagni provammo di nuovo tutto ciò che la crudeltà degli Arabi ha potuto inventare, per saziar l’odio che nutrono contro i Cristiani. Snervati, battuti costantemente, tracciando il nostro cammino coi cadaveri di quelli che soccombevano, rimanemmo circa tre mesi per istrada. I nostri guardiani, onde evitare i Francesi che occupavano la pianura, ci fecero viaggiare in tutte le direzioni. Ripassavamo spesse volte nelle contrade già percorse; ci accadeva di trovare frammenti di divise conosciutissime; degli ossi sparsi qua e là ci accennavano che le iene avevano divorato il resto dei nostri poveri camerata. Bisogna veramente che io sia stato sostenuto dalla gran bontà di Dio, poichè ho potuto sopportare tutta questa miseria serza mormorare. Ahimè!