89. Quel della cella del romito è il primo,
Ove trovando il passo e porto franco,
Intana drento e non vi scorge nimo1,
Fruga e rifruga in qua e in là, nè anco;
Sgomina ciò che v’è da sommo a imo,
Ma tutto invano; ond’egli al fine stanco
Se n’esce colle man piene di vento,
Ma dieci volte più di mal talento. 90. Entrò nel bosco e ogni contrada scorse
E in somma ne cercò per mari e monti;
E vedde senza metterla più in forse,
Il pigiato esser lui al far de’ conti;
Onde nel fine all’arti sue ricorse,
Chè pur vuol vendicar sì grandi affronti;
Così v’arriverò po’ poi in quel fondo,
Se voi foste, dicea, di là dal mondo. 91. E poichè fatti egli ha certi suoi incanti
Che gli riescon bene e vanno a vanga2,
Andate, dice, o stummia3 di furfanti,
Poich’a pianger volete ch’io rimanga.
Che sieno in casa vostra eterni pianti,
Tal che ciascuno e fino al gatto pianga.
E così poi di quanto aveva detto
Nè più nè manco ne seguì l’effetto.
↑St. 89. Nimo. Nemo, niuno (Nota transclusa da pagina 328)
↑St. 91. Vanno a vanga. Vanno bene, come quando la terra cede quasi al peso della vanga. (Nota transclusa da pagina 328)
↑Stummia. Schiuma. (Nota transclusa da pagina 328)