20. Mentre si china, dando il culo a leva,
E’ fece un capitombolo nell’acqua;
Ond’avvien ch’una volta ei l’acqua beva
Sopra del vin, che mai per altro annacqua.
Quanto di buon si è, che s’ei voleva
Lavare i panni, il corpo anche risciacqua:
E divien l’acqua sì fetente e gialla,
Che i pesci vengon tutti quanti a galla. 21. Le regole ben tutte a lui son note,
Che insegnò, per nuotar bene, il Romano1:
Distende il corpo, gonfie fa le gote.
Molto annaspa col piede e colla mano.
Intanto si conduce fra le ruote,
Che fan girando macinare il grano;
Ben se n’avvede, e già mette a entrata2
Di macinarsi, e fare una stiacciata. 22. In questo che il meschin già si presume
D’andar a far la cena alle ranocchie,
Aprir vede una porta, e in chiaro lume
Sventolar drappi e campeggiar conocchie;
Chè le Naiadi ninfe di quel fiume,
Coronate di giunchi e di pannocchie3,
Corrono ad aiutarlo, infin ch’a riva,
Là dove il dì riluce in salvo arriva.
↑St. 21. Il romano fu uno stufaiuolo, che insegnava nuotare alla gioventù fiorentina. (Nota transclusa da pagina 323)
↑Mette a entrata. Tien per certo; dall’allibrare a entrata che fanno i computisti il danaro ricevuto. (Nota transclusa da pagina 323)
↑St. 22. Pannocchie. Spighe della saggina, panico e simili. (Nota transclusa da pagina 323)