5. Omai serra gli ordinghi e le ciabatte
Chiunque lavora e vive in sul travaglio,
E difilato a cena se ha batte
A casa, o dove più gli viene il taglio.
Chi dal compagno a ufo il dente sbatte;
Tanti ne va a taverna, ch’è un barbaglio1;
Parte alla busca; e infin, purchè si roda,
Per tutto è buona stanza, ov’altri goda. 6. E Paride2, ch’anch’egli si ritrova
A corpo voto in quelle catapecchie,
D’Amor chiarito figlio d’una lova3,
Che svaligiar gli ha fatto le busecchie4,
Dice al villan: Va’ a comprarmi dell’uova,
Ecco sei giuli, tônne ben parecchie;
Piglia del pane, e sopra tutto arreca
Buon vino, sai! non qualche cerboneca5. 7. E se t’avanza poi qualche quattrino,
Spendilo in cacio; non mi portar resto.
Messer sine, rispose il contadino,
Io torrò, s’io ne trovo, ancor cotesto.
E partendo gli ride l’occhiolino,
Sperando6 aver a far un po’ d’agresto;
Ma facendo i suoi conti per la via,
S’accorge ch’e’ non v’è da far calía7.
↑St. 5. Barbaglio. Ciò che abbarbaglia; una meraviglia. (Nota transclusa da pagina 322)