71. Se tu giovi al compagno, allor tu fai
(Quasi gli presti roba) un capitale;
Anzi talor, per poco che gli dài,
Ti rende più sei volte che non vale.
Ma non si dee ciò pretender mai,
Perch’ell’è cosa che starebbe male;
Questo è un censo, il quale a chi lo prende
Richieder non si può, s’ei non lo rende. 72. Guarda s’ell’è così: io, per la mia
Pietà di prender di quei topi cura,
Da lor vinta restai di cortesia
E n’ebbi la pariglia coll’usura;
Perocchè in questa zezza ricadía1,
Ch’io ho d’aver trovata clausura,
Eglino tutti sul cancel saliro
E si fermaro, ove è la toppa, in giro. 73. E gli denti appiccando a quel legname
Come se ’n bocca avessero un trapáno,
Presto presto vi fecero un forame,
Da porre il fiasco2 e vendere il trebbiano;
Talchè, in terra cascando ogni serrame,
Spalanco l’uscio di mia propria mano
E passo dentro, e resto pur confusa,
Perch’ancor quivi è un’altra porta chiusa.
↑St. 72. Zezza ricadía. Ultima noia, molestia. (Nota transclusa da pagina 204)
↑St. 73. Pôrre il fiasco Vedi c. I, 76. Ma qui credo che pôrre sia contratto da porgere e non da ponere. Di questi forami o finestrini da porgere il fiasco a chi va a comprare il trebbiano (vino qualunque) dai privati, se ne vede ancora moltissimi nelle case e fin nei palazzi di Firenze. (Nota transclusa da pagina 204)