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Cercherò, atteso la venerazione somma, che ho per la vostra degnissima persona, di darvi, con tre lettere, una giusta idea del più solido di questi argomenti, mettendo da parte quanto è stato scritto finora; ed in primo luogo farò parola, nelle due prime, del celebre avvenimento di Pompei e d’Ercolano, di cui han parlato tanto gli scrittori di tutte le nazioni.

Un uomo dedito alle scienze fisiche, ed a quelle specialmente dalle quali la prosperità dello stato e il ben essere de’ cittadini dipende, non solo riguarda come di niun momento l’applicazione degli antiquarj e degli storici; ma non erra, certamente, allorché rigetta come mendace ed ipotetico la maggior parte di tutto ciò, che con un apparato di locuzioni ampollose, con un’erudizione studiata, e con una citazione di cose dette e ridette, ma mai provate, pretendon essi far ammirare al pubblico, per acquistarsi così il nome di dotti, nel mentre volgono le spalle alla vera dottrina che consiste nel rendersi utile alla società, e nel bandire dallo scibile tutte le ipotesi e le chimere.

Fui jeri a Pompei. Scriverei sicuramente un volume, se colla logica, colla filosofia, e colle cognizioni utili alla mano facendo l’analisi degli oggetti, colà veduti, e l’imponente che ce ne han detto, come sapete, tanti scrittori, volessi farvi rilevare quanto l’immaginazione ed il pessimo criterio di costoro abbian alterato le cose, e quante idee incongrue siano state esaltate intorno al lusso ed al sapere di alcuni popoli antichi. Se questi risuscitassero adesso, nel mentre resterebbero carichi di meraviglia allo spettacolo