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a procurarsi, la prima volta, alcune parti d’uno scheletro di bambino e, la seconda, due altri scheletrì umani, uno dei quali quasi completo, senza contare molti manufatti di più maniere.

In quello stesso anno un nuovo esploratore, Anton Giulio Barrili, si diede ad estendere taluno degli scavi già iniziati, e a lui si deve la scoperta di un quinto scheletro, col solito corredo di ossa, di conchiglie e di cocci.

Ad alcuni terrazzani dei dintorni, non so se per vana curiosità o per cupidigia di tesori, parve l’esempio degno di essere imitato; ma per buona ventura si contentarono di praticare un piccolo fosso e di devastare una sola tomba.

Il prezioso ricettacolo di reliquie preistoriche era, tuttavolta, in gran parte intatto, e quando accettai l'incarico, affidatomi dal Ministero dell’Istruzione, di eseguire alcuni scavi nelle caverne ligustiche, a vantaggio del nascente Museo etnografico e preistorico di Roma, il mio primo pensiero fu di ripigliare l'esplorazione che tre volte, e a lunghi intervalli di tempo, avevo principiata e che, per circostanze indipendenti dalla mia volontà, mi era stato impossibile di compiere.

In nove giorni di ricerche accuratissime (dal 24 agosto al 3 settembre 1876), durante i wuali fu posto a nudo il fondo roccioso di buon tratto della parte orientale e media della grotta, mi venne fatto di scoprire sette nuovi sepolcri inviolati, coi rispettivi scheletri, alcuni guasti, altri in ottimo stato, e una ricca serie di manufatti di terra cotta, di pietra e d’osso. Questi oggetti, nonché i sette scheletri, sono ora ostensibili nella collezione del Museo etnografico e preistorico di Roma.

Più tardi, la grotta fu visitata da mio fratello Alberto, il quale, avendo praticato un piccolo fosso in un punto che io gli avevo indicato, vi scoprì, impigliati in una tenacissima concrezione stalagmitica, contenente ossa, car-