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un profondo scavo, destinato a ricettare le fondamenta del medesimo. Quest’ultimo era giunto a circa 3 m, di profondità, quando, il 10 aprile 1852, sotto i colpi di badile degli operai, scattò da una zolla di marna un corpo emisferico, che lo scultore Brilla, testimonio del fatto, scambiò a tutta prima per un vaso di terra cotta. Ma, raccoltolo, non tardò ad accorgersi che era un teschio. Proseguito il lavoro, si misero allo scoperto le altre parti di uno scheletro, che a tutti parve umano, e fra queste il Brilla scelse i migliori pezzi per conservarli.

Lo scheletro, impigliato nella marna, giaceva supino, cogli arti anteriori protesi, inclinato col capo in basso, ed era quasi addossato ad una roccia. Intorno ad esso, si trovarono pezzetti di carbone, molte ostriche fossili (Ostrea cochlear, var.) e frammenti di Pecten.

Il Sig. Brilla si proponeva di eseguire qualche ricerca per vedere se ivi fossero sepolti altri oggetti, atti a spargere un po’ di luce sull’antichità di quegli avanzi. Ma ne abbandonò il pensiero, perchè l’impresario della fabbrica si oppose energicamente ad ogni tentativo che avesse potuto recare qualche ritardo ai lavori.

La parte dello scheletro sottratta alla distruzione consisteva specialmente, oltre al teschio, nel torace, in cui si vedevano distintamente le coste incastrate nella marna che ne riempiva la cavità, e in alcune piccole ossa della testa e degli arti.

Il parroco di Santa Giustina, don Perrando, veduto il prezioso fossile nello studio del Brilla, fece istanza al possessore perchè volesse cederglielo; ma questi, che si proponeva di torlo a modello per certi suoi lavori, acconsentì solo a privarsi dì pochi frammenti. Quanto alla parte principale dello scheletro, trascorsi alcuni anni e rimasta negletta in un angolo oscuro, scomparve nella confusione di uno sgombero.