Pagina:Lignite in Valgandino.djvu/7


architetto ed agronomo 9
anno di stagionatura all’ombra ne perde dal 30 al 35 per cento, diminuendo di circa 1/6 in volume. Un metro cubico di lignite verde pesa per medio 160 pesi bergamaschi, ossia quintali 12,80; proporzione che cresce in ragione inversa della sua purezza. Stagionato, avuto riguardo all’ammanco di volume, non pesa che nove quintali. Alcuni resti animali vi si rinvengono, ma così spappolati e ridotti a tale stato di macerazione, che coll’asciugare si polverizzano e disperdono. I denti e le corna hanno una durata maggiore. Molti di questi frammenti ornano i nostri gabinetti mineralogici pubblici e privati, e molti distinti geologi vi argomentarono, tra le altre, alcune varietà d’alci e di rinoceronti ora perdute. Tra i resti vegetabili i più frequenti sono le frutta di noci e le pannocchie di pino, ma esse pure per alcuni caratteri si riputarono diverse da quelle delle specie tuttor viventi.1 Il vantaggio principale di questo combustibile sta nella costanza, nell’intensità e nell’equabilità del calore che emette; sicchè riesce opportunissimo in tutte quelle officine dove si ha bisogno di mantenere l’ebullizione e la temperatura dell’aqua ad una uniforme elevazione, come nelle filande, nei seccatoj, nelle macchine a vapore; a differenza della legna che arde con moltissima fiamma, e provoca una rapida ebullizione che non può sostenere cessando la fiamma stessa tosto che si è consumata la fibra legnosa, e che richiede di più una più assidua sorveglianza alla bocca del fornello per mantenere l’alimento. La più parte delle filande bergamasche, e molte anche dell’agro milanese orientale verso l’Adda sono disposte per il consumo del lignite, e trovano tali e tanti vantaggi in questo combustibile da anteporlo alla legna anche a pari prezzo, vantaggi che sentono maggiori coloro che hanno disposte le griglie dei focolare con
abbastanza larghezza pel passo libero ed abbondante dell’aria, e che ebbero l’accortezza di munire il condotto del fumo di una valvula per regolare la combustione.

È opinione generale dei consumatori che il lignite stagionato sviluppi un’azione calorifica superiore di un quarto di quella della legna dolce. Le esperienze fatte dal Breislak al laboratorio dei nitri in Milano, e riportate dal Gioja nel citato opuscolo, ne porterebbero la differenza a più di un quarto avendo per medio dovuto impiegare per la evaporazione di mastelli 128 di aqua nitrosa, libbre grosse di legna 2163, mentre pari effetto potè venire prodotto da sole libbre grosse 1568 di lignite. Infatti le ligniti contenendo giusta le citate analisi di Regnault, il 67 per cento di carbonio, mentre la legna non ne contiene che il 30, la loro efficacia deve ragionevolmente dedursi di molto superiore. Però evvi in questo disparità di opinioni fra i nostri chimici; dacchè mentre il Kramer attribuisce ai lignite di Valgandino una potenza calorifica, rappresentata dal numero 3012, ne dà alla legna forte in conguaglio 3300, ed alla legna dolce 3290, ed il Curioni paragonando il coke al lignite di Leffe ed alla legna forte, sopra calorie N. 36, ne attribuisce N. 31 al primo, N. 21 al secondo, e sole N. 13 alla legna. In tanta disparità di opinioni dipendenti probabilmente dalla qualità dei campioni sui quali operarono i dotti sperimentatori, e dalla piccolezza degli esperimenti tentati sul crogiuolo del chimico, anzichè sul focolare dell’industriante; ed in mancanza di dirette prove, noi ci terremo alla opinione di coloro, i quali graduano i combustibili nella scala della loro più o meno perfetta carbonizzazione, mettendo ii legno all’infimo gradino, a cui fanno succedere le torbe, indi le ligniti, poi i carboni fossili, il carbone di legna, e da ultimo il coke, ossia il carbone fossile carbonizzato, considerata, ben inteso, la materia nella sua purezza.

Due sono i mezzi che si presentano per intaccare le escavazioni di questo banco sotterraneo, o scendendovi direttamente per mezzo di un pozzo, o procurandoci un cunicolo nelle parti dove per la conformazione della valle e per l’andamento
  1. Il professore Balsamo Crivelli vi distinse una qualità propria di noci, che chiamò col nome di iuglandites bergomensis Notizie naturali e civili della Lombardia, p 77. Il professore Massalungo vi distinse pure una pannocchia da pino consimile a quelle che trovansi nei terreni terziarj viennesi, e che classificò col nome di pinites Partschii, oltre due specie di noci chiamate da lui juglans Pilleana e juglans Milesiana Annali delle Scienze naturali di Bologna, 1852.
Vol. II Luglio 1854. 2