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povera bambina dovesse patire! E s’ingegnava di farti ingoiare qualche gocciola di latte. Spesso, quando dopo una lunga giornata di strapazzi, si addormentava, tu la svegliavi coi tuoi strilli: e lei, sempre paziente e amorosa, correva alla tua culla per racchetarti.

— Anch’io, da piccina, avrò adunque avuto la testa debole e molliccia come quella del mio fratellino?

— Come quella, figliuola mia.

— E com’è dura, ora! Chi sa quante volte avrò corso il pericolo di farmela in pezzi!

— Eppure non ti è mai avvenuta una disgrazia! Noi non ti lasciavamo un momento. La mamma rinunziò per te a ogni divertimento, a ogni spasso: trascurò tutte le sue conoscenze e si dette esclusivamente a te: quando, a volte, era costretta a uscir di casa per far delle compre, stava sempre in pensiero e non vedeva l’ora d’esser tornata. «Gigia, diceva alla donna di servizio, ti raccomando l’Enrichettina, fa’ conto che sia tua,» e le faceva sempre delle attenzioni e dei regali, perchè ti tenesse bene.

— Povera mamma! Ma dimmi un po’: c’è stato proprio un tempo durante il quale non sapevo correre? E ora corro tanto! In tre volte ho fatto il giro della camera. Chi m’ha insegnato?