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pare, babbo, che sia lì lì per ridere? Su, da bravo, chiamami Enrichetta, Enrichetta! O che non puoi parlare?
— Parlerà fra due anni. Ma tu procura di non stordir la mamma col tuo cicaleggio.
— Guarda, guarda, babbo! Ha il visino tutto contratto, piange: forse avrà fame. Aspetta, caro; corro in dispensa a farmi dare una chicca.
— Il bambino non potrebbe mangiarla, disse il babbo; guarda la sua bocca: non ha nemmeno un dente. Come vuoi che faccia a masticare?
— Dunque non può mangiare! O di che cosa camperà? Se dovesse morir di fame!
— No, figliuola: il buon Dio ha già provvisto ai suoi bisogni, disse la mamma, guardando con amore la sua creaturina. Il mio seno è pieno di latte, destinato a sostentare il tuo fratellino. Egli è deboluccio, come vedi: ma fra qualche mese, sgambetterà in terra come un agnellino.
— Mi par mill’anni di vederlo! Guarda, babbo, la bella testina tonda! Non m’arrischio a toccarla.
— La puoi toccare, ma leggermente.
— Oh sì, adagino. Dio com’è morbida! Par di toccare del cotone in fiocco.
— E così sono le testine di tutti i bimbi nati d’allora.