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Tra quei sassolini ce n’erano dei graziosi, tanto per forma come per colore; alcuni erano piccini, rotondi, lisci, e neri: altri, più grossetti, apparivano screziati di rosso, di verde e di giallo.
Carlo domandò a Dario:
— Lo sai, tu, di dove si levano questi sassolini?
— No, ma saranno venuti da sè.
— Dinne delle grosse! Venuti da sè! Come devono fare a venire da sè? Li hai presi per piante? Già neppure le piante vengono da sè: bisogna seminarle e....
— Seminarle! Sta a vedere che tutta l’erbaccia inutile che cresce tra i crepacci delle vecchie mura e ne’ giardini abbandonati, è stata seminata!
— Dalla mano dell’uomo, no certo: ma il vento o qualche uccellino avrà trasportato i semi di quell’erba nei luoghi che hai accennato.
— Lo stesso sarà avvenuto dei sassolini....
— Si cheti, ignorantello! I sassi, per sua regola non possono nascere nè crescere, nè....
L’epiteto inaspettato e soprattutto quel lei autorevole, sostituito di punto in bianco al tu, colpirono il povero Dario, il quale guardò dapprima suo fratello con aria indecisa, poi la mamma, poi un cane che abbaiava: e non sapendo far di meglio, proruppe in un dirotto pianto e strillò: