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cera da scarpe e perfino un tovagliuolo tutto infrittellato d’unto e di caffè; il tavolino, le seggiole erano coperti di filiggine; e nella mezzina mandavano gli ultimi tratti due mosche.
L’Eduvige pensò subito alla mamma e prese una gran risoluzione; se si provasse un po’ lei a riordinare quell’arruffío e a far risparmiare al babbo la spesa della serva?
Forse ci riuscirebbe, forse no: ma in ogni modo, a provare non ci si rimette nulla, anzi ci si guadagna sempre qualche cosa, se non altro la pratica.
L’Eduvige cominciò dal riempir d’acqua il calderotto e dal metterlo sul fornello, dove c’era sempre il fuoco acceso: poi riunì i piatti grandi, quelli più piccoli e le marmitte, facendone, ben inteso, tre gruppi distinti; sbrattò il cammino, scosse le seggiole, spolverò la rastrelliera, e mentre l’acqua finiva di scaldarsi, risciacquò i bicchieri, le chicchere e gli dispose, rovesciati, sopra un vassoio di bandone, che la mamma teneva, per quell’uso, sul piano della madia. Poi, a un pezzo per volta, renò le posate, le asciugò e le ripose.
Quando l’acqua fu a bollore, la versò adagio adagio nel catino, e cominciò dal rigovernare i piatti meno unti, per arrivar quindi ai tegami e alle marmitte.