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un grosso bottone, infilato in una gugliata di refe. Gira, gira e gira, il bottone finiva sempre collo schizzargli nel naso e allora erano pianti, guai, disperazioni.

Il babbo, indispettito buttava in un canto il Clasio, la mamma pigliava in collo il bambino, e io profittava sempre di quella confusione, per chiuder la storia sacra e riponerla nel cantuccio più buio del salotto.



Lo rinnovò per il Corpus-Domini, per il Corpus-Domini di prima, quando le strade erano seminate di lauro, le finestre inondate dal sole di maggio e le campane di Santa Croce annunziavano la festa del Signore. Lo vedo sempre, esile, grazioso, elegante, coi piedini irrequieti, calzati da due microscopiche scarpette di pelle lustra, col cappellino di paglia di Firenze, dalla tesa rialzata, dai bianchi nastri svolazzanti.

E la mamma! Come se ne teneva di quella creaturina! Quando qualcuno si soffermava a guardarla, la povera donna diventava rossa come una viola e sorrideva. Avrebbe sorriso a tutti, anche a un malfattore.