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no, che la causa s’attribuisca alla quantità della materia. Contuttociò io sarei di parere, che ne anco la materia vi avesse che far cosa veruna. Questo è ben certo, che la materia per se stessa è morta, e non serve se non per impedire, e resistere alla virtù operante. La materia altro non è, che un vaso di Circe incantato, il quale serve per ricettacolo della forza, e de’ momenti dell’impeto. La forza poi, e gl’impeti, sono astratti tanto sottili, son quintessenze tanto spiritose, che in altre ampolle non si posson racchiudere, fuor che nell’intima corpulenza de’ solidi naturali. Questa dunque è l’opinion mia, la forza di quell’uomo traente è quella, che opera, è quella che urta. Non dico la forza, ch’egli fa in quell’istante di tempo, quando il legno arriva a dare il colpo, ma tutta quella che egli precedentemente averà fatto dal principio, sino al fine del moto. Se noi chiederemo quand’egli tirava il Galeone, per quanto tempo durò a faticare; risponderà, che per muovere quella gran macchina per lo spazio di venti passi, vi volle forse una mezz’ora di tempo, e di fatica continua. Ma per tirar quel legnetto piccolissimo, non vi messe ne anco quaranta battute di polso. Però la forza, che per lo spazio di mezz’ora continuamente, quasi da vivace fontana, scaturì dalle braccia, e da nervi di quel facchino, non è mica svanita in fumo, o volata per l’aria. Svanita sarebbe quando il Galeone non avesse potuto muoversi punto, e sarebbe tutta stata estinta da quello scoglio, e da quel ritegno, che gli avesse impedito il movimento. Si è bene impressa tutta nelle viscere di quei legnami, e di quei ferramenti di che è composto, e caricato il navilio; e là dentro si è andata conservando, ed accrescendo; astrattone però quel poco, che l’impedimento dell’acqua può aver portato via. Qual maraviglia sarà dunque se quell’urto, il quale porta seco i momenti accumulati per lo spazio di mezz’ora farà molto maggior effetto, che quello il quale non porta seco altro, che le forze, e i momenti accumulati in quaranta battute di polso?

Io inclinerei forse a credere, che se e’ fusse possibile di racchiudere, e ristringere dentro a un vilissimo emisfero di noce, ma infrangibile, tutta quella forza, e fatica, che nello spazio di mezz’ora è stata prodotta dal traente del nostro immaginato


Vascel-