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ACCADEMICHE. 93

cui si semina in tante Provincie, i cui poderi son capaci di peregrinazione, gli armenti incapaci di numero? Che un ventre solo sia quello, per cui vendemmia nell’Italia il Vesuvio, Siracusa nella Sicilia, Smina, e Creta nell’Arcipelago, il Libano nell’Oriente, la Spagna nell’Occidente? Una voragine, o piuttosto un abisso senza fondo, sarà sempre stimato quello, per cui s’impoverisce l’aria d’uccelli, a cui si votano tante selve, per cui si pescano tanti laghi, tanti fiumi, e tanti mari, non solo del Mediterraneo a noi vicino, ma anco del remotissimo Settentrione. Non già mi maraviglio per questo Ascoltatori; perdonisi all’industria golosa, se trasportò le vendemmie di Creta, o le caccie del Fasi, e di Numidia, per accrescer delizie a una mensa dell’Italia. Erano merci lontane, e difficili sì, ma però conosciute, ed esposte: la perspicacia delle gole ingegnose, è passata più oltre, e per investigar cibi più occulti, è discesa sin sotterra. Non sono stati sicuri su gli scogli più dirupati dell’Appennino scosceso di Norcia, i frutti sotterranei della terra più infelice. Che giovò alla natura perspicace, il privar della luce quegli aborti, e seppellirgli fra l’alpi rovinose? frutti egualmente degni degli animali, che li trovano, e delle bocche, che gli appetiscono; frutti che non nascono, se il Cielo adirato non tuona: ma sentite.

et facient optata tonitrua caenas

Majores.

Adunque la corruttela del secolo si estenderà fino a bramare un fulmine, per accrescere una vivanda, ed invocherà una tempesta, per fomentare una lussuria? Lungi pur sieno da noi, e dalle nostre mense innocenti, frutti così contaminati, ed indegni, che non nascono se non sepolti, e non abitano, che in precipizi, figliuoli di terra infeconda, aborti di sterilità, gemelli di fulmini, padri di libidine. Ma chi crederebbe giammai Uditori, le mostruose invenzioni dell’arte, nel condimento de’ cibi, e nella sozza mistura delle vivande? Non piacciono più al lusso delle gole erudite, i parti della Natura, ma i mostri. Quindi è, che non si apprezzano più nelle cose i sapori nativi, se non mutati, o confusi. Non dilettano le carni de’ più delicati animali, se non vengono alterate da’ sughi spiacevoli, de’ frutti più aspri, ed inappetibili. Era forse poco aggravio,


che