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ACCADEMICHE. 45

DEL VENTO

LEZIONE SETTIMA.

LL

A Natura, Sereniss. Principe, Degnissimo Arciconsolo, Virtuosissimi Accademici, fra le cose sue più nascose, e più impenetrabili, non mi par, che alcuna ve n’abbia, occultata con maggior segretezza, che quell’accidente dell’aria, il quale con nome di Vento comunemente si appella. Le pioggie, e le grandini, l’iridi, e le comete, le nevi, i fulmini, i baleni, i parelj, ed altre impressioni, che ne’ campi dell’aria, o si generano, o compariscono, hanno per mio credere, poco nota l’origine, e molto malagevole la contemplazione: nulladimeno benche nate in regioni sublimi, e inaccessibili, non si sottraggono però affatto da tutti gli umani sentimenti. Non mostrò la natura di tener questi parti fra i più segreti ripostigli de’ suoi arcani, mentre lasciandone altri esposti alla vista, ed altri ancora soggetti al toccamento, volle concederci qualche principio, e fondamento per la speculazione. E chi negherà, che non sia qualche sorta d’ajuto al contemplatore, l’aver certezza almeno della figura, del colore, della grandezza, e d’altri simili accidenti, che dal sentimento della vista posson esser compresi? Ma del vento invisibile per se stesso, qual cognizione avremmo noi, se per la moltitudine degli effetti non si palesava? Il gonfiarsi delle vele, l’incresparsi del mare, l’ondeggiar delle biade, lo scuotersi delle piante, il sollevarsi della polvere, e tanti altri accidenti, sono indizi manifesti di un parto della natura invisibile, prodotto, non meno per accecar gli occhi dell’intelletto, che quei del corpo. Ora se la natura quasi con ogni studio proccurò d’occultare il vento egualmente al senso, ed all’intelletto, non sarà maraviglia, se io pieno di confusione comparisco oggi in questo luogo, a pubblicar quell’ignoranza, che in cambio di erudizione, dalle studiate carte degli antichi, ho riporta-


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