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LEZIONE TERZA 57

in tal tempo smarrito; ma sono al tutto diverso da ciascuno di loro. Imperocchè M. Piero suo figliuolo, il nipote e gli altri espositori antichi, intendono per tal selva una vita licenziosa e viziosa, nella quale ei dicono ch’era scorso in tal tempo Dante; co’ quali conviene ancora il Vellutello, il quale dice a questo proposito, che Dante chiamò ancora nel Convivio questa vita una selva erronea; e così ancora similmente il Petrarca, quando e’ disse:

Ahi quanti passi per la selva perdi!

La quale opinione, per onore del Poeta, non mi piace punto; e tanto più, non si trovando alcuno di quegli che scrivono la vita sua, che dica1 ch’ei fusse uomo vizioso e sfrenato, ma tutti dichino ch’egli fu uomo da bene e di buoni costumi, e di onesta e lodevole vita; nè gli rimproverando ancora similmente Beatrice, quando ella lo riprese così per fianco nel Paradiso terrestre, che si fusse immerso ne’ vizii, e lasciatosi torre le virtù e la fama di quelli, ma dicendogli ch’egli era camminato per via non vera,

Immagini di ben seguendo false,
Che nulla promissione rendono intera;

le quali parole dimostrano più tosto, se elle si considerano bene, che Dante avesse errato nell’operazioni intellettive, seguendo opinioni erronee, che eleggendo con la volontà cose viziose e brutte. Nè mi piace ancor dipoi similmente la opinione di coloro che dicono ch’egli intende per essa selva il corpo, adducendo che Platone e molti altri filosofi chiamano la materia corporea in greco hyle, e i latini silva. Imperochè chi sarebbe quello, che si dorrebbe d’essere nella selva di questo corpo, se non l’anima? Il che non arebbe mai fatto Dante, seguitando egli come ei fa sempre la dottrina peripatetica; la quale tiene, insieme co’ nostri teologi, che il corpo sia dato a l’anima nostra solamente perchè ella possa acquistarsi, mediante i sensi di quello, che le sono come finestre, delle intellezioni e delle scienze; perchè

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  1. Ediz. 1554 dichino; 1562 dice.