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LEZIONE PRIMA | 31 |
apparisce più in loro; onde son diventati non solamente come fiere che manchin di quella, ma molto peggio di loro; essendo molto più atto un uomo rio e cattivo a fare e più e maggior male, per l’ingegno ch’egli ha, che non è di gran lunga quel si voglia fiera e crudele e salvatica. E questi son puniti dalla divina iustizia nel fondo de l’Inferno, e presso al centro della terra, insieme con Lucifero. Trovasene di poi, secondo il Filosofo, alcuni altri, i quali hanno sotto posti in tal modo i loro appetiti sensitivi a la ragione, ch’e’ non fanno mai cosa alcuna reprensibile, onde appariscon più tosto spiriti divini che umani, per il che son chiamati da Aristotile Eroi, cioè più che uomini; del numero de’ quali egli scrive che referisce Omero che fu Ettore; onde usava dir di lui Priamo, ch’ei non pareva nato di uomo mortale, ma di seme divino e celeste. E questi, quando e’ se ne trovasi, son quegli che la religione nostra chiama beati, o veramente santi. Ma perchè questi tali son rarissimi, e’ non occorre parlare di loro; nè così ancor similmente di quegli efferati e bestiali, essendo eglino tanto confermati nel male, ch’e’ non è possibile ritrarnegli. Restaci adunque solamente quelle quelle due prime sorti, cioè gl’incontinenti e i viziosi, che si possino ritrar dal cammino de’ vizii, e ritirare in quel delle virtù. E questi volendo il poeta nostro indurre a operar bene, usa questi due mezzi dell’Inferno e del Paradiso, o veramente del timore della pena e della speranza del premio; l’uno per ispaventare i viziosi, acciochè eglino operin bene almanco per timore; e l’altro per confermare la volontà de gl’incontinenti nella fortezza e nell’amore delle virtù. E perchè quei che son camminati alcun tempo per la via de’ vizii non si disperino, e non pensin di non potere uscirne, egli scrive il Purgatorio; nel quale egli insegna il modo di purgarsi da essi vizii, e ritornare in quel della virtù; per il quale egli può dipoi, camminando di virtù in virtù, arrivare finalmente al porto della salute e al regno del cielo. E queste sono le opinioni degli antichi circa a l’intenzion di questa opera di Dante.
I moderni (eccetto che uno, la esposizione del quale non è stata ancora mandata da lui fuori, ma gli è piaciuto farne parte