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LEZIONE PRIMA | 29 |
stro nella sua ultima cantica, che consèguita, ed ha per fine la vita contemplativa. Per il che egli s’ingegna di mostrare, che chi vuole salire a la contemplazion di questa somma verità bisogna che lasci Virgilio, e conseguentemente tutte le scienze umane, e pigli per sua guida Beatrice, intesa da lui per la teologia e per la sacra scrittura. Imperochè camminando l’intelletto de’ filosofi appoggiato a la cognizion sensitiva, in quel propio modo che fa un cieco appoggiato a un bastone, che non muove il passo s’ei non ferma prima il bastone, e non trovando ove fermarlo si torna indietro, non si muove ancora egli, s’ei non trova prima dove fermare la cognizione del senso. Laonde non trovando nel cercare di cognoscere Dio, ove fermarlo (non cadendo Dio sotto la cognizion sensitiva), non hanno mai potuto alcuna di loro, come è cosa notissima a ciascuno, conoscerlo. E che Dio non caggia sotto la cognizione sensitiva, lo dimostran chiaramente i nostri teologi nel principio della lor Teologia, dicendo apertamente che nessuno vide o conobbe mai Dio, se non il suo Figliuolo unigenito, e quegli a chi è piaciuto a lui per sua grazia stessa revelarsi. Insegna adunque Dante, a questa terza vita speculativa, abbandonar la sapienza umana, e per mezzo del lume della fede e della sacre e divine scritture salire alla contemplazion di Dio ottimo e grandissimo, e in lui solo conoscere e contemplare di poi tutti gli enti e le cose naturali, delle quali è adorno e fatto questo universo (come dimostra aver fatto ancora egli, quando e’ s’appressò a lui, onde disse nel trentesimo terzo1 canto del Paradiso:
Nel suo profondo vidi che s’interna, |
con le quali due voci egli abbraccia tutti e dieci i predicamenti sotto i quali, come mostrarono i logici, si comprendono tutte le cose), e di poi contemplare finalmente essa essenzia divina, distinta in tre persone preceduti l’una dall’altra, nel modo
- ↑ Ediz. trentaduesimo.