la dottrina e da la eloquenza sua, ella si è di poi appoco appoco sparsa e sparge di tal sorte continuamente per tutta l’Europa, ch’e’ si può sperare ch’ell’abbia a venire ancor un giorno nel pregio e nella stima, che fu ed è ancora a’ tempi nostri la latina; il che è tanto più da stimare, quanto ella lo fa solamente per la bontà e bellezza sua stessa, e non per la forza e per la grandezza del suo imperio, come fece la romana. Per la qual cosa desiderando la Eccellenza dello illustrissimo Duca nostro, non manco amatore delle virtù che della sua patria, insieme con questi virtuosissimi Accademici, che le vene di così chiara fonte non restino di versare del continuo ne’ petti della gioventù fiorentina la eloquenza e la dottrina loro, hanno ordinato che rinnovandosi la felice memoria di questo eccellente poeta, si legga per me, se non sufficiente almeno suo grandissimo partigiano, publicamente in questo onorato luogo la sua dotta e bella Commedia. Nè mi poteva certamente, in questa ultima parte della mia vita, occorrer cosa alcuna che mi fusse più grata, per poter sadisfare in parte a gli oblighi che io tengo con questo divino e raro poeta (al quale io porto tanta riverenza, che la prima cosa della quale io mi glorio, dopo l’essere cristiano, si è di essere nato nella patria sua medesima), che avere questa occasione di poter lodare publicamente con la voce viva, come io ho fatto sempre con gli scritti, e lui e questa sua maravigliosa opera. Al non manco utile che dilettevole studio della quale v’invito io tutti, uditori nobilissimi, promettendovi che i passi che voi spenderete al venire non saranno in alcun modo del tutto perduti. Per il che, persuadendomi io di già avere eccitato e acceso ne’ vostri virtuosissimi animi qualche nuova favilla d’amore verso questo poeta, il che è stato oggi solamente lo intento mio di fare, pongo qui insieme e a le sue lodi (ringraziandovi prima della grata e benigna udienza vostra) e al mio ragionamento fine.