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della crusca xxiii

e cambiando penna e inchiostro; del rimanente si vede essere sempre una sola e medesima la forma di carattere. E oramai ogni dubbio si può tenere come rimosso; poichè il degnissimo vostro Arciconsolo, pregato in mio nome, ebbe la bontà di confrontare il codice con alcune lettere, certamente autografe, del Gelli a Benedetto Varchi, e riconobbe che lo scrittore di questo fu pur lo scrittore di quello, tanto nel testo, quanto nelle sue postille e correzioni. Il male si è, che uno di coloro i quali dopo la morte del Gelli possedettero queste sue lezioni manoscritte, volendo riunirle nel volume che divenne il presente codice Magliabechiano, le ha ordinate o per dir meglio disordinate di tal maniera, che maggior confusioni non credo sia stata nei fogli della Sibilla dispersi dal vento. Vedendo egli che ciascuna leione stava in un proprio quaderno, e che ciascuna portava un numero, le cucì seguitando l’ordine loro numerico, senza badare se il numero fosse dell’una piuttosto che dell’altra Lettura. Onde, a cagion d’esempio, la lezione quarta, che spiega la prima parte del Canto XXIII dell’Inferno, fu messa al luogo di quella, parimente quarta, che commenta la prima parte del Canto XX. E talvolta fu materialmente alterata anche la pregressione numerica, come si vede a carte 13 e 18, dove stanno una lezione terza e una quarta, poste immediatamente dopo due altre che hanno egualmente il numero terzo e il quarto. Trovata poi fra le altre una lezione senza numero, la relegò per questo solo motivo alla fine del libro, sebbene l’ordine delle materie che vi son trattate ricercasse un altro luogo. A sì fatto disordine non era però cosa ardua il rimediare. Imperocchè da un lato era evidente, che come aveva fatto nelle precedenti sue Letture, così anche nella ottava e nella nona il Gelli non altrimenti doveva aver interpretato il poema di