fece più alcuna orazione o discorso preliminare, avendo egli dichiarato nello esordio della quarta, che sebbene sia costume di quelli che pubblicamente espongono qualche scrittore, di ragionar da prima intorno all’onore e al diletto e all’utile che così fatti studii possono apportare, non di meno egli voleva lasciare tal cosa a dietro come superflua, per averla già fatta nei tre anni passati. Senza preamboli pertanto la quarta Lettura ripiglia le spiegazioni al punto dov’erano arrivate nell’anno precedente; e con un’altra serie di dieci lezioni prosegue dal v. 97 del Canto settimo al v. 105 del nono, ossia alla entrata di Dante e di Virgilio nella città di Dite. La qual Lettura quarta occupò l’anno accademico del 1557, quando fu Consolo messer Lelio Torelli, patrizio di Fano, cittadino di Firenze, onore del suo secolo. E’ questo nome, che dev’essere più specialmente caro alla vostra Accademia; poichè Lelio Torelli fu tra i primi fondatori dell’Accademia Fiorentina, ne scrisse gli statuti, e più di una volta si tennero in casa sua le adunanze degli Accademici. E quanta sapienza fu in quell’uomo! Tutte egli ebbe le più alte cariche dello Stato Mediceo; egli ambasciadore, egli giudice, egli segretario e consigliere del Principe, egli senatore, egli riformatore degli studii; e in tutte riuscì ammirabile. Pier Vettori, compendiandone con felice brevità i pregi, disse benissimo che Laelius Taurellius ut civilis juris est consultissimus, ita omnis elegantis doctrinae peritissimus; e similmente il Giorgio Vasari scrive, essere stato il Torelli «non meno amatore di tutte le scienze, virtù e professioni onorate, che eccellentissimo iuriconsulto». Nè soltanto egli si meritò lode di scrittore facile e ornato nella lingua nostra, ma si mostrò conoscitore esimio delle lettere greche e latine; e in queste così addentro, che lo stesso Vettori nelle sue Emendazioni Tulliane confessa e si onora di