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LEZIONE DECIMA 155

la memoria, come si pensano alcuni, per dire egli: che scrivesti quello che io vidi, ma a essa mente, parte, come si è detto, nobilissima della nostra anima. La quale alcuni teologi chiamano porzione superiore d’essa anima, affermando questa sola esser quella la quale è creata, senza altri mezzi, da la mano propia di Dio, e infusa ne’ nostri corpi, quando ei sono organizzati e atti a riceverla, in quel modo ch’egli la spirò nella faccia del primo uomo, formato ch’ei l’ebbe; onde disse Moses: factus est homo in animam viventem. La quale autorità intendendo i Manichei solamente secondo la lettera, dissero che l’anima dell’uomo era della sustanza propia di Dio; conciosia cosa che chi spira mandi fuori del suo, e ciò che è in Dio sia Dio. Nel quale errore non sarebbono eglino caduti, se ei l’avessero intesa spiritualmente (come ei dovevano, parlando ella di Dio), come l’hanno intesa i dottori Cattolici, interpetrando quello spirare, spiritum creare, e non spiritum emittere; e tanto più non mandando ancor l’uomo, quando egli spira, fuori di sè parte alcuna della sua sustanza, ma solamente l’aria ch’egli aveva tirato prima dentro di sè per rinfrescamento del cuore, da poi ch’ella è riscaldata. La qual calidità è, come è noto a ciascuno, accidente, e non sustanza. Questa parte superiore dell’anima razionale (la quale è quella che forma, intendendo, i concetti nostri) invoca adunque e chiama in aiuto suo il nostro Poeta, per poter meglio esprimere e manifestare essi concetti, dicendole: che scrivesti, cioè imprimesti nella memoria, riserbatrice delle cose appartenenti a essa porzione nostra divina, ciò che io vidi; tutto quello che comprese la cognizion mia sensitiva per mezzo de gli organi e de gli strumenti de’ sensi particulari. Nelle quali parole egli dimostra, seguitando la dottrina peripatetica, come ei non è cosa alcuna nell’intelletto nostro, che non sia prima stata nel senso. Imperò che non potendo esso nostro intelletto, per esser di natura tanto spirituale e divina, ch’ei non può operare in queste cose corporee, intendere loro propie, fu ordinato da la natura che le immagini e i simulacri di quelle, passando pe’ nostri sensi, s’imprimessero in un’altra potenza, chiamata fantasia, dove risguardando dipoi esso intelletto, a guisa (come dice Temistio nella sua para-