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invocarle, può ritrar sufficientemente ciascuno che vuole e da il Landino e da il Vellutello. Ma perchè io mi persuado che il Poeta nostro, per trattar di quelle cose divine, le quali son veramente divine, e non fabulose come quelle delle quali trattano quasi tutti gli altri poeti, abbia in tutte le cose ancor concetti molto più alti e più profondi di loro, dico ancora io (ascendendo con lo intelletto più alto, dietro a lo universalissimo Agrippa), che le Muse, propiamente e divinamente parlando, significano quelle intelligenze, o sieno anime o sieno motori, che muovono e guidano le nove sfere celesti, cioè quelle de’ sette pianeti, quella del cielo stellato e quella del primo mobile1. Le quali divine sustanze furon create senza mezzo alcuno da Dio ottimo e grandissimo, e dipoi deputate da lui al governo di essi cieli, acciò che operando ciascuna con quella virtù, la quale era stata data loro da esso Dio (laonde elle son chiamate le seconde cause), elle disponessero e governassero in certo modo tutte queste cose sullunari. E perchè, per mezzo dei loro influssi, son distribuiti da esso Dio molti doni, insino ancor nelle anime nostre (mediante il seguitar quelle il più delle volte, come afferma Galeno, le passioni del corpo), noi possiamo chiamarle, non come cagioni principali, ma per quanto si estende l’amministrazione loro, procedente da Colui da ’l quale nascono e dependono tutti i beni e tutti i doni ottimi, meritamente e giustamente in soccorso nostro. E il Poeta medesimo dimostrò chiaramente tal cosa, quando

  1. Pico della Mirandola nel commento, ch’egli compose sulla canzone d’amore di Gerolamo Benivieni, scrive al cap. X del primo libro: Dopo l’anima del mondo pongono i platonici molte altre anime razionali, fra le quali ne sono otto principali, che sono l’anime delle spere celesti, le quali secondo li antichi non sono più che otto, cioè sette pianeti e la spera stellata. Queste sono le nove Muse, tanto da’ poeti celebrate, fra le quali è la prima Calliope, ch’è l’universale anima del mondo, e l’altre otto per ordine sono distribuite ciascuna alla sua spera.
    Il commento di Pico Mirandolano è stampato colle opere del Benivieni nelle due edizioni dei Giunta 1519 e degli Zopino del 1522, la prima delle quali è tra le citate dalla Crusca.