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LEZIONE NONA | 145 |
di purgarsi di quegli errori ch’ei conosceva, avendo compreso per le parole di Virgilio ch’ei non vedrebbe Beatrice, se non quando egli sarebbe mondo e purgato da’ vizii, onde si dice:
Che tu mi meni là dove or dicesti, |
chiamando così il Purgatorio, per l’autorità data da Cristo a Pietro, pastore del gregge cristiano, e ai suoi successori e a’ sacerdoti ordinati da loro, di permutare la pena eterna, che meritano i peccati mortali, in pena transitoria, e con il mezzo de’ sacramenti della Chiesa torre si può dir l’anime a l’Inferno, e mandarle al Purgatorio in luogo di salvazione, come ne dimostra molto più largamente il nostro Poeta stesso nel nono capitolo del Purgatorio. Dove ei pone a custodia della porta, per la quale hanno a passare l’anime che vanno a purgarsi, uno Angelo il quale ne tiene le chiavi; al quale arrivando il nostro Poeta, e inginocchiatosegli a’ piedi, come lo aveva ammaestrato Virgilio, e pregandolo che gl’aprisse, gli fu detto da lui:
Da Pietro l’ebbi,1 e dissemi che io erri |
significando con tale atto la confessione fatta a’ piedi del sacerdote, figurato da lui per l’Angelo, per esser chiamati i sacerdoti spessissime volte nelle sacre scritture angeli e ministri di Dio, come son propiamente gli Angeli. E dipoi lo prega ancor similmente ch’ei lo meni a l’Inferno dicendo:
E color che tu fai cotanto mesti, |
cioè quegli spiriti dolenti, i quali stanno in tanta mestizia e in tanta miseria, secondo che tu di’, cioè che io ho saputo da te per revelazione, e non per il mio discorso il quale non può, come si è detto di sopra, pervenire per sè stesso e umanamente in cognizione di così profondi e occulti segreti. Dopo le quali parole soggiugne Dante, che Virgilio di subito si mosse, ed egli gli tenne dietro e seguitollo; e qui è posto da lui fine al primo capitolo di questa cantica, e noi porremo ancor similmente fine a questa lezione.
- ↑ Cr. Da Pier le tengo.