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LEZIONE NONA 141

tenza in ogni luogo, e governa e regge per amore e bontà nel cielo, ove è la sua città, cioè la moltitudine de’ suoi eletti, e lo alto seggio, cioè quel trono della divinità, sopra del quale sedendo egli, e mostrando la sua faccia a’ quei bene avventurati spiriti, gli fa felici e beati; Virgilio, essendo1 relegato da la divina iustizia nel Limbo, ove egli provava la gran potenza di Dio, dice: in tutte parti impera, cioè e per autorità e per potenza, e quivi, cioè nel cielo, regge, cioè e per bontà e per amore, facendo beate quelle anime, e ch’ei non manca loro contentezza alcuna. Del quale reggimento parlando il Profeta disse: Dominus regit me, et nihil mihi deerit, dimostrando che quando ei sarebbe retto ancora egli in questo modo dal Signore, il che sarebbe nella eterna beatitudine, non gli mancherebbe cosa alcuna, essendo in quella felice vita dove, veggendosi Dio,

Nè più si brama, nè bramar più lice,

come disse non manco dotta che leggiadramente il Petrarca nostro. Da la considerazione del quale felicissimo stato nacque in esso Virgilio, nel farne menzione, un dolor tanto grande di non essere ancora egli del numero di quegli che lo posseggono, ch’egli esclamò, come narra il testo, e disse con alta e affettuosa voce:

O felice colui cui ivi elegge!

La construzione del qual verso è molto strana e molto dura, nè se ne può cavare, se non con difficoltà grandissima, il senso. Per la qual cosa la maggior parte degli espositori, e particularmente il Landino, dicono che per quel cui si ha a intendere il quale; ed espongonlo dipoi così: o felice colui, il quale (facendolo caso obliquo e accusativo) Dio elegge quivi, cioè a quel regno; o veramente il quale (in caso retto e nominativo agente) elegge in quella città santa e felicissima la sua abitazione. E questa così disusata e confusa construzione dicono alcuni (senza considerare ch’ei poteva dire, in cambio di cui, che pronome relativo, ed era manifesto il senso, senza guastare

  1. Ediz. il quale essendo.