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LEZIONE NONA


Scrive il dottissimo Pico de la Mirandola, in una orazione ch’egli fece nel Senato Romano, aver letto nelle memorie degli Arabi, che uno de’ loro sapienti, il quale era chiamato Adala Saracino, usava dire che non aveva trovato mai in questa scena mondana, nel considerar le cose naturali, cosa alcuna la quale fosse più eccellente e più maravigliosa che l’uomo. Nel quale detto, uscito da così sapiente uomo, sono da considerare principalmente due cose. La prima, per qual cagione egli chiami questo universo una scena. E l’altra, quali sieno quelle qualitadi, le quali faccino tanto eccellente e tanto maraviglioso e stupendo l’uomo. Le quali volendo noi esaminare, è necessario sapere, incominciandosi da la prima, che questa voce scena significa propiamente quel luogo appartato (o sia più basso che gli spettatori, in quel modo che si facevano anticamente i teatri, o sia più alto di quegli, come i palchi e le prospettive che si usano ai tempi nostri), dove recitano gl’istrioni le tragedie, le commedie e gli altri poemi simili. E fu chiamato questo luogo anticamente così da una voce greca, la quale significa in quella lingua tabernacolo o capanna, e luogo ombroso. E la cagione fu per usare quegli da chi ebbe primieramente origine la Comedia, i quali furono, come io vi dissi ne’ miei preambuli, contadini Ateniesi, recitare quei lor componimenti (fatti per sfogamento delle superchierie e degli oltraggi che facevan loro quegli che eran più potenti di loro) fuori a la campagna in certi capi di vie, sotto alcuni frascati ch’ei facevano di rami di arbori per starvi sotto all’ombra e schifare i raggi del sole. Laonde