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miseramente relegate e incarcerate dentro a esso fuoco, elle vengono a esser del continovo tormentare e cruciate realmente da lui. Ma perchè quelle che sono in Purgatorio sanno che tal fuoco, non solo non le ha a ritenere ch’elle non vadino a la eterna beatitudine, se non per certo tempo, ma ch’egli è loro mezzo e scala a salire più prestamente a quella, elle si stanno liete e contente in mezzo a le fiamme di quello; come quelle le quali non solamente sperano, ma sanno certo ch’elle hanno quando che sia a salire, come dice il testo, al regno del cielo; il quale è il terzo luogo ordinato, come si è detto, da la providenza divina per esse anime.

Del qual cielo volendo Virgilio ragionare, descrive ancor quello, come egli ha fatto gli altri due, da la condizione delle anime che lo abitano, chiamandole, come facciamo ancor noi, con questo nome beate. Il quale nome è stato lor posto e dagli scrittori e da l’uso molto propiamentee con grandissima considerazione. Imperò che così come i latini, ne la lingua de’ quali ha la sua origine questa voce, chiamano beati quegli ai quali non manca cosa alcuna a bene e felicemente vivere, così chiama ancor per similitudine la religione nostra beate le anime che sono in cielo, per non mancar loro contentezza nè cosa alcuna ch’elle desiderino; non essendo altro la beatitudine, secondo la diffinizione che ne dànoo i teologi, che uno stato felice e perfetto per contenere in sè ogni bene, come ne dimostra chiaramente il Poeta nostro medesimo nell’ultimo1 canto del Paradiso, dicendo:

Ed io che al fine di tutti i desii
Mi appropinquava, sì come io doveva,
Lo ardor de' desiderii2 in me finii.

E questo basti per dichiarazione della seconda delle cinque conclusioni dette da Virgilio in questo ragionamento, riserbandomi, per non esser più lungo, a esporre l’altre con vostra licenzia nella seguente lezione.

  1. Ediz. penultimo.
  2. Cr. del desiderio.