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122 LETTURA PRIMA

i mali dell’animo sono, come scrive Plutarco, respettivamente più gravi e peggiori di quegli del corpo; e la cagione principale di tal cosa è perchè quegli, i quali hanno infermo e mal disposto l’animo, il più delle volte non lo conoscono, e non par loro aver male, dove quei che hanno il male nel corpo lo conoscon per il contrario sempre, o almanco il più delle volte; da la qual cosa nasce, che quei non pongono studio alcuno in emendarsi, e questi non lascian cosa alcuna adietro per guarire; quei fuggon sempre chi gli riprende, e questi cercan del continovo chi gli medichi. E che questo sia il vero, avvertisca quanto ei sa diligentemente ciascun che vuole; chè ei non troverà mai alcuno, che abbia la febbre, che si persuada (se ei non ha però perduto il conoscimento) d’esser sano; come ei troverà per il contrario, che tutti quei che sono stolti si crederanno esser molto più savi degli altri. Nè troverà ancor similmente alcuno, il quale sia caduto nella tisichezza, che la chiami buona complessione, o l’esser ritruopico buona temperatura di corpo, o le gotte destra disposizione di membra; come ei troverrà per avverso, che chi ha verbigrazia impedito l’animo da l’ira, la chiamerà, per non si conoscere, animosità; e chi è stimolato da l’avarizia, la chiamerà parsimonia; e chi è roso da l’invidia, la chiamerà emulazione. Per la qual cosa era tanto stimato appresso a’ primi sapienti della Grecia il conoscersi, ch’eglino avevan fatto scrivere con lettere d’oro questo detto, conosci te stesso, nel più eminente e più onorato luogo del tempio di Apollo; affermando che esso Apollo, il quale era reputato da loro lo Dio della sapienza, lo aveva mandato fino dal cielo agli uomini per un de’ più salutiferi ammonimenti, e un de’ più utili ricordi, che si potesse dar loro in questa vita. Nella qual cosa è da avvertire, che tal detto non vuole dire solamente (come si credon molti) che l’uomo conosca quella nobilità della sua natura, per la quale ei fu chiamato da Mercurio Trismegisto il gran miracol della natura, da Aristotile il fine di tutte le cose, e da Plutarco il vero simulacro di Dio. Imperò che se questa così fatta cognizione non è moderata da lui col pensare ch’ei non ha cosa alcuna di bene, ch’ei non l’abbia ricevuto (come dice